#Recitationes: Alessandro Pertosa
Preludio
Io sono voce di uno che grida nel deserto; la corrente di naufragio e il vento in poppa; l’approdo malsicuro in ogni spazio aperto.
Falce di luce, la mia parola falsa. Lingua scintillante, la mia parola vera; che cammina e s’insinua nel folto di ogni bosco; e raggiunge il culmine affilato del crinale, per sprofondare meglio.
Io sono voce che dorme alle estremità di tutti gli alfabeti; che parla e grida senza lacci né catene; e girovaga fra i sogni, insonne.
Io sono voce che sbanda oltre il confine; dove l’estremo torce in mare aperto, le stravaganze di questa mia preghiera smisurata.
Navigo a vista senza conoscere la meta; né il senso del mio andare: del mio dire, del parlare.
Tanti passi faccio avanti, per altrettanti frano indietro; e ricomincio sempre dall’inizio i balbettii; l’identico terrore; lo stesso strazio.
*
(domenica)
Non c’è cristo che tenga al centro commerciale; le chiese le ha svuotate il treperdue, che Carlo Marx nemmeno ci pensava. Le campane suonano (le offerte) a radio unificate, e i sacerdoti richiamano alle croci fedeltà, mentre assolvono alla cassa il socio golden paradiso…
quindi t’ammazzi di lavoro
perché sennò il tenore lo status la buona società;
e intanto il tempo passa e fila via,
come la voce dolente che riecheggia nel vuoto:
Marta Marta perché ti affanni?
perché ti agiti per molte cose?
la parte più bella di me se la piglia Maria…
*
Non basta cercare le api sulle rose, le siepi sempreverdi, i fiori di sambuco e l’odore nitido del faggio. Non basta la sterile preghiera, amare gli alberi, il mondo, il circostante. Non basta lisciare il pelo ai cani, se prima non arriverà qualcosa a sconquassare il sortilegio; se prima non arriverà qualcuno, con tono di vento e lingua di luce, a sussurrare una parola sottovoce. Una parola di cui rimane solo l’eco…
Ormai soltanto un dio ci può salvare.
*
omaggio ad Antonio Alleva
Ci vuole l’ombra, ci vuole. L’acqua tiepida e la culla del vento.
Per covarlo il seme. Per farlo sbocciare a primavera
quando ricominceranno a splendere i fiori
sui crinali muti di queste colline sventurate.
Ma forse ci mancherà il tempo di tornare
di calpestare ancora i fili d’erba
il loro incanto.
E la brina le lacrime questi bagliori
finiranno dentro al gorgo dei millenni
tra le crepe trasversali della storia.
*
Autoritratto
I limiti del mio linguaggio
significano i limiti del mio mondo
(Ludwig Wittgenstein)
Io sono questi campi; i sentieri abbandonati attorno casa; i tratturi che si perdono in montagna. I miei occhi sono fatti di questi sogni, di questa terra; dei cieli azzurri e grigi, e dei declivi di questa campagna. Io sono il mondo intero che da sempre mi circonda; sono gli anni dietro le spalle; il futuro in cui mi perdo e credo. Io sono questo vento fra i capelli. I volti e i ritratti quasi schizzi, che ogni giorno vedo.
*
non così in fretta ascolta
non così in fretta
prenditi il tempo necessario per la fuga in campo aperto
alla bocca troppo stretta
dai modo di allargarsi fino ai bordi
e dilatagli le labbra le pause i gran respiri
ci entri dentro la poesia
questa maledetta
e poi i discorsi ultimi, sui tratturi più sconnessi
e le migliori traiettorie scegli
le più cangianti
dove si cade spesso i denti sul selciato
ma sia più lento il pedalare, più pesato
e al vento sulla barba all’improvviso
fagli sentire lo strappo repentino muscolare
delle discese senza avviso
senza un senso che sia noto;
intanto gli altri avanti fanno a gara a chi arriva prima sulla virgola, sul punto
tu invece mordi sempre il freno alla sintassi
e voltati alla cieca fino in piazza
dove ormai spopola il silenzio;
e sul nero di questa ardesia montanara
sui sampietrini in circolo al centro del paese
corri di nuovo a declamare come un pazzo
l’ultimo chilometro di versi: e sul traguardo
continua a pedalare
non fermarti,
perché i tuoi occhi dieci decimi
vogliono più grande il desiderio
un blu sempre più blu:
lo spazio eterno e smisurato
di un altro cielo.
(Poesie tratte da Biglietti con vista sulle crepe della storia, Puntoacapo Editrice, 2020)